APE RESISTENTE

 

In cerca dell’ape resistente.

Apidologie (2016) 47:467–482 Review article *INRA, DIB and Springer-Verlag France, 2015.

This article is published with open access at Springerlink.com DOI:10.1007/s13592-015-0412-8

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Ecco un estratto della pubblicazione di Barbara Locke.

 

  1. INTRODUZIONE

L’ape europea , Apis mellifera, è l’unica specie di api che non ha in natura un acaro parassita della covata. Esistono però due acari nativi di altre specie di api (Varroa destructor e Tropilaelaps clareae) che riescono ad infliggere danni e perdite economiche enormi quanto tutte le malattie apistiche conosciute (Boecking and Genersch 2008). L’ectoparassita Varroa è un’ospite naturale dell’ ape asiatica, Apis cerana, danni a queste famiglie sono osservati raramente esistendo una stabile relazione ospite-parassita formata attraverso una lunga evoluzione. Nelle colonie di api asiatiche la riproduzione dell’acaro è confinata solamente alla covata maschile (fuchi). Quando il parassita entra in una cella d’operaia, la pupa infestata viene rimossa dal comportamento igienico delle api adulte (Peng et al. 1987). Anche le api europee hanno dei comportamenti difensivi simili, come lo “ spidocchiamento” (grooming) o il comportamento igienico, ma sono meno pronunciati (Fries et al.1996) e molto variabili fra le razze di A. mellifera (Moretto 2002; Moretto et al.1991). La capacità di rimozione della covata infestata da Varroa è stata nominata VSH (Varroa-sensitive hygienic), i due comportamenti ; igienico e VSH sono responsabili della eliminazione della covata morta o ammalata. Molti acari durante il tentativo di rimozione non sono uccisi con il risultato di interrompere, però, il ciclo riproduttivo con un conseguente abbassamento repentino della crescita della popolazione di parassiti.

Il successo della Varroa sull’ape europea l’ ha diffusa attraverso tutto il mondo, oggi (2016) solo l’Australia e pochi luoghi o isole sono considerate libere dagli acari. La grande differenza fra le api asiatiche e quelle europee è che l’acaro riesce a riprodursi in quest’ultime nelle celle di covata femminile. Come risultato abbiamo una crescita esponenziale dell’infestazione e tutto ciò comporta la morte delle colonie in pochi anni in assenza di controllo da parte degli apicoltori. Nutrendosi dell’emolinfa dell’ape l’acaro danneggia la pupa operaia durante lo sviluppo ed è associata con lo sviluppo di molti virus letali; il virus prevalente è quello DHW ( deformed wing virus, virus delle ali deformate).

Nonostante questa grave situazione, la sopravvivenza all’acaro è stata documentata nell’ A.mellifera, principalmente nella razza africana A.mellifera scutellata, in Brasile (Rosenkranz (1999) e più recentemente in Africa (Allsopp 2006). Anche in alcune sottospecie di razze europee è stata ben documentata la sopravvivenza con infestazione da Varroa non controllata per una decade o più (De Jong and Soares 1997; Fries et al.2006;Le Conte et al.2007; Rinderer et al.2001; Selley 2007). Queste popolazioni di A.mellifera, sopravvivendo,  possono rivelare fattori genetici ed ecologici che includano tratti acaro-resistenti per poterli adottare in programmi d’allevamento. Si tratta di riuscire a decifrare le caratteristiche che hanno reso, a livello planetario, alcune popolazioni di api resistenti all’acaro Varroa.

  1. POPOLAZIONI RESISTENTI ALL’ACARO
    • m.scutellata in Brasile e Sud Africa

Inizialmente la presenza dell’acaro in Brasile si pose come una seria minaccia per gli alti numeri rilevati (Morse and Goncalves 1979). Comunque fu osservata una conseguente riduzione dell’infestazione che suggeriva un processo adattativo alla presenza  dell’ospite (Moretto et al. 1995). Le api “africanizzate” non richiedono trattamenti e mantengono una bassa infestazione nell’ordine di 3-4 acari ogni 100 api. Il comportamento igienico e il “grooming” sono i tratti importanti acaro-resistenti delle api in Brasile ed anche in Messico. Altri studi hanno riguardato la bassa attrattività della covata per gli acari in riproduzione sempre nelle api africanizzate , dove la fertilità del parassita si è rivelata minore del 50%. La popolazione di api africanizzate rimane stabile in Brasile e non ci sono segnalazioni di incremento dell’infestazione.

Dall’introduzione dell’acaro in Sud Africa nel 1997 le razze presenti  A.m.scutellata e A.m.capensis si sono rivelate resistenti e senza bisogno di controllo. Eppure, alla sua scoperta, la  buona riproduzione all’interno della covata della A.m.scutellata, con le stesse caratteristiche dell’ape europea , aveva fatto sospettare un impatto egualmente negativo. Dopo delle perdite iniziali la situazione adesso è stabile, ciò suggerisce un responso adattativo all’ospite. Le quote di infestazione non eccedono mai 4 acari ogni 100 api (Strauss et al. 2013). Nel 2009 la Varroa è stata trovata in Kenya, Tanzania, Uganda con alcune segnalazioni in Ghana; in tutti questi paesi non è stato osservato alcun impatto negativo sulla sopravvivenza o sulla produttività delle famiglie d’api (Frazier et al. 2010). In precedenza  A.m.intermissa, in Tunisia era stata descritta come acaro-resistente con capacità notevoli di grooming e comportamento igienico, alcune regine importate in Francia hanno fatto osservare una riduzione della infestazione negli ibridi.

Le api africanizzate brasiliane sono geneticamente identiche alla razza africana ancestrale. In definitiva la resistenza può essere spiegata da elementi genetici pre-esistenti.  Oltre al comportamento attivo difensivo, nelle caratteristiche aggiuntive della A.M. Scutellata che possono aiutare a mantenere bassa la crescita della popolazione di acari sono incluse : l’alta percentuale di abbandono dell’alveare, la sciamatura migratoria, la velocità di sviluppo della colonia che generalmente dà origine a piccole famiglie, un tempo di sviluppo più breve. La taglia ridotta delle celle riduce la capacità della madre-acaro di produrre figlie femmine fecondate prima che l’ape adulta emerga dall’opercolo. Seeley e Griffin (2011) hanno dimostrato chiaramente che, per esempio, mantenere piccole le celle del favo non riduce l’infestazione da acaro Varroa nelle razze europee di Apis Mellifera.

Il clima sembra giocare un ruolo nel ridurre l’infestazione (Moretto et al.1991) , perché influenza indirettamente la quantità di covata e le attività di difesa delle api.

2.2. ISOLA DI FERNANDO DE NORONHA

Nel 1984, una popolazione isolata di api italiane A.m.ligustica fu stabilita sull’isola del Brasile. Lo scopo era quello di incrementare gli insetti impollinatori e divenire autosufficienti nella produzione di miele, nello stesso tempo avere a disposizione un allevamento isolato di api europee con un temperamento più gentile rispetto alle api africanizzate. Regine dall’Italia furono introdotte in colonie orfane brasiliane, che erano però infestate da Varroa. Le famiglie incrementarono di numero e il controllo sugli acari non venne effettuato per almeno 12 anni, le colonie erano gentili, numerose e produttive. Fu osservato un calo su una infestazione  più alta  rispetto alla terraferma, fra il 1991 e il 1996 da 26 a 14 acari per 100 api e fu sospettato un adattamento ed una resistenza all’acaro stesso (De Jong and Soares 1997). Il comportamento igienico sull’isola era simile alle api europee e almeno più basso del 50% rispetto alle api africanizzate (Guerra et al.2002). Correa-Marquez et al. Nel 2002 portarono regine dall’isola in Germania  per effettuare delle comparazioni parallele con delle famiglie locali acaro-sensibili (A.m.carnica), ma non furono rilevate differenze sulle infestazioni. Inoltre il grooming era significativamente più basso nelle colonie con regine provenienti da Fernando de Noronha. Qualsiasi cosa permettesse alle api dell’isola di mantenere bassa la parassitosi non era efficace in Germania. Questo suggeriva che l’abilità a sopravvivere era dovuta a qualcos’altro rispetto a un meccanismo genetico di resistenza (Correa-Marques et al.2002). Analisi sul DNA hanno dimostrato che tutte le colonie del 1996 erano ancora al 100% ligustica senza ibridazioni di sorta. Nel 2002 esistevano 100 colonie di api italiane sull’isola con metà gestite da apicoltori e metà selvatiche viventi in cavità d’alberi. La presenza del meno virulento aplotipo giapponese dell’acaro può spiegare la sopravvivenza a questa infestazione non controllata. L’isolamento di questa popolazione ha inoltre impedito l’introduzione di virus dell’ape da miele. Maggiori studi sono auspicabili per meglio comprendere la sopravvivenza alla Varroa e per determinare se sia un risultato dell’adattamento dell’ape, della virulenza dell’acaro o una combinazione d’entrambi.

2.3. PRIMORSKY,RUSSIA.

La più antica consociazione dell’ A.mellifera e l’acaro Varroa viene dalla Russia orientale, dove, alla metà del 1800 un contatto tra A.cerana e l’introdotta A.mellifera portò al passaggio dell’ospite. Un esame iniziale di queste colonie ha suggerito che la resistenza ha potuto verificarsi attraverso la selezione naturale in conseguenza di una lunga associazione con l’acaro (Danka et al.1995).Materiale da questa regione è stato importato negli USA per una valutazione dell’acaro-resistenza. La valutazione parallela con le famiglie locali ha evidenziato che le api russe hanno una crescita più lenta della popolazione del parassita (Rinderer et al.2001). Comportamento igienico accresciuto, aumento del grooming, minore attrattività della covata hanno portato la quota d’infertilità della Varroa intorno al 50%.

Un vasto programma di allevamento acaro-resistente è stato approntato negli USA sulla base di queste api russe, le regine sono già disponibili a livello commerciale.

2.4. GOTLAND,SVEZIA.

Alla fine degli anni  ’90 una popolazione isolata di 150 colonie d’api fu trasportata all’estremo sud di Gotland , un’isola del Mar Baltico fuori della costa orientale della Svezia. Le api provenivano da vari luoghi ed erano formate da razze diverse (Fries et al.2003). Lo scopo sperimentale era di valutare la possibilità di eradicare la Varroa sotto le condizioni climatiche del nord senza trattamenti, le famiglie vennero infestate artificialmente, con un numero di acari uguale, senza nessuna manipolazione e libere di sciamare. Le famiglie erano continuamente monitorate per la sciamatura, perdite invernali, quantità di infestazione autunnale e grandezza della colonia in primavera. Nei primi 3 anni più dell’80% delle famiglie morì in ragione della rapida crescita dell’infestazione. Molte colonie sciamarono nei primi 2 anni, ma il 3° anno la sciamatura decrebbe per l’intrinseca debolezza delle colonie. Dopo le perdite iniziali la quantità di infestazione autunnale decrebbe, così come la mortalità invernale e l’incidenza della sciamatura incrementò nuovamente assieme alle colonie recuperate (Fries et al.2006). Questi studi hanno chiaramente dimostrato che la sopravvivenza a lungo termine delle api era dovuta alla riduzione della virulenza dell’acaro e all’adattamento all’ospite indotta dalla selezione naturale (Fries and Bommarco 2007). Le colonie resistenti a Gotland sono piccole, hanno meno api adulte durante l’estate, circa la metà delle altre non resistenti che insistono nello stesso habitat e hanno inoltre 1/10° della covata maschile dei testimoni.

La riduzione della colonia e della covata può essere una strategia adattativa per limitare le opportunità riproduttive dell’acaro e abbassarne la curva di crescita. I vari comportamenti anti-varroa sembrano essere gli stessi delle altre colonie nelle api di Gotland, suggerendo che esse non siano rilevanti. Il ritardo della deposizione delle madri acaro e la quantità di progenitura morta viene rilevato essere la causa più comune della mancata riproduzione. Una spiegazione plausibile potrebbe essere un’alterazione degli odori della covata, responsabili dell’inizio dell’ovogenesi negli acari stessi. Questa alta proporzione di acari immaturi morti può essere una conseguenza addizionale del ritardo della deposizione, i corpi soffici ed immaturi degli acari sono vulnerabili ai movimenti delle vecchie pupe all’interno delle celle (Calderon et al. 2012).Questa capacità di ridurre la riproduzione della Varroa è presente in maniera ubiqua in tutte le colonie con l’origine genetica a Gotland, senza distinzione per il contributo genetico materno, paterno o di ambedue. Questo dimostra che questi tratti hanno una forte componente genetica ereditaria. Le successive ricerche sul genoma dei maschi aploidi ci informano che questa piccola regione ha subito una fortissima selezione, un gene candidato per essere efficace contro la riproduzione dell’acaro è un gene (GMCOX18) che sembra coinvolto in diverse funzioni dell’ Apis mellifera, come la biosintesi della cuticola (Kunieda et al.2006) ed è anche presente nelle difese chimiche larvali di altri insetti, i coleotteri ad esempio che emettono una secrezione ghiandolare che agisce come repellente per i nemici. L’effetto di questo gene può essere utilizzato nell’alterazione dell’odore della covata che influenza l’ovogenesi dell’acaro e che può sostenere le prime ipotesi del meccanismo che riduce il successo riproduttivo  nelle popolazioni.

Spesso le colonie a Gotland hanno il DWV (Deformed Wing Virus) agli stessi livelli delle colonie sensibili all’acaro (Locke et al.2014). Sembra che abbiano acquisito un livello di tolleranza per colonia al DWV oltre alla loro resistenza adattativa alla Varroa, sono capaci di sopravvivere con alti livelli di infezione mentre le altre colonie testimoni invece muoiono. Il virus della cella nera della regina, BQCV (Black Queen Cell Virus) e il virus della covata a sacco, SBV (Sac Brood Virus) decrementano fortemente durante l’autunno nelle colonie resistenti ma, nello stesso tempo, incrementano in tutte le altre. La capacità di ridurre questi virus in autunno aumenta al meglio la salute generale delle api invernali che saranno responsabili della crescita della famiglia durante la primavera. La consistenza attuale delle colonie a Gotland è di 20/30 colonie, i progetti attuali su queste famiglie sono concentrati sull’identificazione dei  cambiamenti dell’odore della covata e su approfondimenti  genetici. Le api sono relativamente non aggressive, in piccole colonie e non producono molto raccolto,  è possibile introdurre queste api in un programma d’allevamento che mantenga la resistenza alla Varroa ma che ne sviluppi di pari passo le caratteristiche desiderabili a livello economico.

2.5 AVIGNONE, FRANCIA

Durante gli anni ’90 api selvatiche o da apiari abbandonati, che non fossero state trattate contro la Varroa per almeno 3 anni, furono raccolte in due luoghi al sud e all’ovest della Francia, Avignone e Le Mans. Altre colonie furono via via aggiunte sulla base delle indicazioni degli apicoltori che non fossero state trattate almeno negli ultimi 2 anni. Alla fine del decennio un totale di 52 colonie erano ad Avignone e 30 a Le Mans (Le Conte et al. 2007). Nessuna prevenzione per la sciamatura, nessun trattamento di controllo per gli acari e la manipolazione limitata alla sola raccolta di miele. Per oltre 7 anni (1999-2005), non c’è stata una differenza annuale significativa fra la mortalità delle colonie trattate e quelle non trattate. L’infestazione dell’acaro rimase 3 volte inferiore nelle colonie non trattate, suggerendo di essere capaci di inibire in qualche modo la crescita della popolazione di parassiti. Le colonie trattate produssero il doppio del miele comparandole con le non trattate. Gli studi hanno trovato molti geni interessati nella cognizione dell’olfatto e nell’eccitabilità neuronale, le api di Avignone sembrano avere una più alta sensibilità agli stimoli ambientali ed essere meglio adattate alla scoperta e rimozione delle celle di covata infestate dal parassita.

Non è chiaro come possano essere capaci di trovare l’acaro nelle celle di covata, potrebbe essere un non meglio specificata reazione allo stress della pupa (Aumeier and Rosenkranz 2001).Il comportamento igienico e il VSH (Varroa-sensitive hygienic) sono basati sulla alta sensibilità olfattiva e sulla capacità di risposta, i primi studi sulle api di Avignone hanno dimostrato che queste api possiedono un migliore responso delle antenne nell’identificare la Varroa e una più grande sensibilità nel trovarlo. Il successo riproduttivo negli acari è ridotto al 30%, percentuale simile alle api del Gotland, ma con una più alta percentuale di acari infertili. Oggi, ad Avignone, le colonie resistenti non sono isolate ma hanno mantenuto tutte le caratteristiche acaro-resistenti. Esperimenti in diversi ambienti non hanno mostrato miglioramenti rispetto alle colonie locali. Ciò può suggerire un’influenza ambientale sulla risposta resistente e necessitano ulteriori studi.

2.6. Foresta di Arnot, ITHACA,NY,USA

La foresta di Arnot è una grande riserva a sud di Ithaca, NY, di proprietà della Cornell University. Queste colonie d’api sono una unicità rispetto alle altre prese in considerazione. Sono tutte colonie selvatiche annidate dentro gli alberi. Il primo censimento è stato effettuato nel 1978 e furono contate 18 colonie, approssimativamente 10 anni prima della prima segnalazione dell’acaro. Il conteggio fu nuovamente effettuato nel 2002 confermando la sopravvivenza di 16 colonie, 15 anni dopo l’arrivo del parassita nella regione. Alveari trappola furono collocati nella foresta nella primavera del 2003 per raccogliere sciami in arnie con telai mobili per investigare sulla infestazione. Le colonie durante l’inverno 2004-2005 furono perse per gli attacchi di orso, così le ispezioni continuarono nelle cavità degli alberi  e questo mostrò che la popolazione era rimasta comunque stabile per 3 anni nonostante l’infestazione. La comparazione tra le famiglie delle arnie trappola a telai mobili e le colonie testimoni non rilevarono differenze significative nella crescita del parassita (Seeley 2007). La sopravvivenza sembra essere dovuta a degli acari non portatori di virus o alla presenza del meno virulento aplotipo giapponese. Una spiegazione aggiuntiva può essere quella di un livello adattativo di tolleranza. I nidi nelle piccole cavità nella foresta sviluppano colonie più piccole come concausa una produzione di covata limitata. Piccole cavità possono anche incrementare la percentuale di sciamature con una conseguente opportunità di trasmissione verticale di acari senza virus, invece una trasmissione orizzontale (come quella che abbiamo nei nostri apiari n.d.t.) seleziona acari più virulenti (Fries and Camazine 2001)ma viene molto ridotta dove le colonie sono largamente disperse.

Analisi del DNA hanno accertato che le api di Arnot sono A.m.ligustica e A.m.carnica con i caratteri distribuiti in modo paritario, in una regione che era stata colonizzata nel 1600 con A.m.mellifera (Seeley et al. 2015). L’analisi dei cambiamenti del genoma nella foresta prima e dopo l’introduzione del parassita sono stati effettuati analizzando le sequenze  sui campioni raccolti sulla popolazione d’api nel 1978, comparandoli con i campioni presi nel 2010 (Mikheyev et al.2015). Questo studio ha evidenziato che le famiglie hanno evidentemente collassato, probabilmente dopo l’arrivo della Varroa e, durante questo periodo, le colonie erano troppo deboli per sciamare o produrre regine con il risultato di una perdita della diversità aplotipica. Attraverso questo collo di bottiglia le colonie sono state ancora capaci di produrre maschi e di mantenere inalterata  così la diversità genetica. Almeno 232 geni che agiscono attraverso il genoma di queste api mostrano segni della selezione, Mikheyev et al. (2015) hanno trovato che almeno la metà di questi geni selezionati nella foresta di Arnot sono da mettere in relazione con lo sviluppo dell’ape, questo suggerisce che variazioni nel programma di sviluppo dell’ape possono influenzare la crescita della popolazione dell’acaro poiché la loro riproduzione è direttamente sincronizzata con lo sviluppo della pupa.

Altre differenze morfologiche osservate con le api di Arnot sono una taglia corporea più piccola, molto simile all’ape africanizzata , questo può significare un più breve periodo di sviluppo o un inadeguato spazio nella cella per la riproduzione del parassita (anche se queste caratteristiche non giustificano pienamente la resistenza). Avere accesso alle api della foresta di Arnot con telaini mobili è l’idea principale per permettere l’investigazione sia sulle api che sull’acaro per chiarire la continua sopravvivenza di questa popolazione non sottoposta a trattamenti.

3.DISCUSSIONE

Le popolazioni  recensite dimostrano che la resistenza all’acaro per l’A.Mellifera  è possibile in tutto il mondo, ci sono molte strade genetiche adattative e sostenibili  per il suo raggiungimento . Sembra esserci , in tutte le popolazioni, una varietà di tratti acaro-resistenti  che si aggiungono e contribuiscono alla riduzione della crescita degli acari all’interno della colonia al posto di una singola super caratteristica.

3.1. MECCANISMO ACARO RESISTENTE

La resistenza  (host resistance) è definita come la capacità di ridurre il benessere del parassita, mentre la tolleranza  (host tolerance) è l’abilità a ridurre gli effetti del parassita (Schmid – Hempel 2011). Resta da chiarire se la sopravvivenza delle api nella foresta di Arnot e le api italiane di Fernando de Noronha è dovuta ad una resistenza, una tolleranza o ad una virulenza ridotta dell’acaro.

Il meccanismo di resistenza comportamentale come il comportamento igienico e il grooming sembrano giocare un importante ruolo nell’ape  in Brasile, in Sud Africa e anche nelle colonie della Russia dell’est.

Sembra chiaro che Gotland, Avignone e in Russia le popolazioni d’api sono capaci, con modi ancora sconosciuti, di ridurre il successo riproduttivo dell’acaro. Modelli di simulazione delle colonie di A.Cerana suggeriscono che la perdita riproduttiva e la limitata covata maschile accessibile  sono sufficienti per spiegare l’acaro-resistenza di questa specie (Fries et al. 1994). La riduzione della grandezza della colonia è un interessante parametro acaro-resistente espresso dalle popolazioni d’api ovunque meno che in Russia e nell’isola di Ferdinando de Norohna. Una riduzione della colonia e conseguente riduzione della covata maschile significa limitate opportunità riproduttive per l’acaro ed è un importantissima caratteristica della resistenza dell’ape asiatica.

3.2. ALL’INTERNO DELLA GESTIONE APISTICA

La cosa più importante di tutte queste famiglie resistenti osservate è l’esperienza di una generica mancanza, o quantomeno meno intensa, gestione apistica. Per ironia della sorte la diffusione di queste malattie in apicoltura è facilitata attraverso le pratiche gestionali intensive (Fries and Camazine 2001). Il processo in co-evoluzione come la selezione naturale conduce ad una relazione stabile parassita/ospite , come già visto con le api asiatiche, che viene ostacolata per le api europee  dalla rimozione dell’acaro assieme alla pressione selettiva richiesta  per tale processo adattativo, inoltre i pesticidi somministrati alle colonie dagli apicoltori, come trattamenti per l’infestazione, possono causare in realtà più danni alla salute dell’ape (Haarmann et al. 2002). L’adattamento dell’acaro verso una riduzione della pericolosità dipende dalla trasmissione a  sua disposizione entro la popolazione di api che può essere alterata dall’apicoltura. La trasmissione verticale da madre a figlia porta ad una minore virulenza  invece la trasmissione orizzontale fra colonie la incrementa (Schmid-Hempel 2011). Le moderne pratiche apistiche favoriscono realmente la trasmissione del parassita, principalmente nella prevenzione della sciamatura, nelle colonie affollate in apiari ad alta densità e attraverso lo scambio di attrezzature con colonie malate o morte( Fries and Camazine 2001 ; Seeley and Smith 2015). Queste popolazioni acaro-resistenti hanno tutte sperimentato  la pressione naturale dell’infestazione che le ha fornite dell’opportunità di un adattamento naturale, senza l’influenza delle tipiche pratiche apistiche. Molte di queste popolazioni resistenti sono piccole famiglie che nell’apicoltura e nella selezione artificiale  per l’incremento dei raccolti sono state eliminate.

La predisposizione delle colonie alla sciamatura non può prevenire completamente la crescita autunnale della popolazione di acari, ma quando questa è associata con altre dinamiche della colonia e dei tratti acaro-resistenti può contribuire a ridurre la crescita parassitaria e migliorare la longevità della famiglia.

L’innaturale alta densità delle famiglie in apicoltura porta ad una più alta reinfestazione e incrementa la diffusione della malattia. Comunque le colonie numerose non sono una caratteristica tipica di queste famiglie resistenti di A.mellifera. Secondo una stima esistono 10 milioni di colonie in Sud Africa con soltanto 1% di esse manipolate da apicoltori (Strauss et al. 2013). L’apicoltura è generalmente meno intensiva e le colonie sono spesso catturate come sciami selvatici. Una situazione simile è osservabile in Brasile con meno apicoltura intensiva e una vasta popolazione selvatica più numerosa di quella manipolata (Vandame and Palacio 2010).

3.CONCLUSIONI

C’è un urgente bisogno di una soluzione sostenibile per il trattamento dell’acaro Varroa  per la vitalità economica dell’apicoltura e dell’agricoltura, così come per la salute dell’ape da miele, per la conservazione dei sistemi ecologici. Capire le interazioni naturali e gli adattamenti fra le api e l’acaro è un essenziale primo passo verso l’acquisizione di questa intenzione. Queste popolazioni danno una speranza per una soluzione sostenibile alla resistenza, agiscono come un esempio che il loro allevamento è perseguibile in tutte le api e in tutto il mondo. Questi esempi suggeriscono che la soluzione più efficace verrà dall’adottare migliori pratiche d’apicoltura.

Trad.M.Mantovani


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