Economia in due parole

 

“Ho fatto un calcolo del prezzo di produzione del miele utilizzando i centri di costo, un’analisi abbastanza contabile che consiste nel suddividere tutte le spese relative all’attività, i manufatti, ecc incluso ovviamente il tempo, tenendo presente che le ore mie impegate qui o altrove hanno un altro valore: ebbene siamo molto al di sotto del prezzo medio di vendita all’ingrosso. Il miele a due euro? Io piuttosto lo lascio lì. In genere lo vendo a quattro euro al chilo nei secchi, 5 e mezzo in vasetto, ed è poco. Ormai è fermo da diversi anni m entre è raddoppiato il prezzo del contenitore. Vendo in maniera oculata, e guardo quanto ne devo produrre per ricavarci qualcosa. Inutile fare 100 quintali per venderli a 2 euro, finchè riesco con 50 a chiedere 4 euro. E aspetto sempre il momento giusto per la vendita”. Marco vende in gran parte al consumatore finale direttamente, ma ha anche un contratto con un grande supermercato toscano, una cooperativa, una catena di negozi tipo delicatessen e alcuni supermarket locali, Conad e Margherita. Ormai non impiega più tanto tempo per la commercializzazione, perché si avvale di un lavoro iniziato fin dal 90. La moglie è maestra, e il suo stipendio si unisce ai ricavi dell’azienda per rendere rotondo il bilancio familiare.

Ha un rimpianto: “Quello che mi manca è tutto il corollario della produzione principale: la cera, il miele in favo, il miele e frutta secca, che ho iniziato tra i primi pensando all’uso medioevale del miele come conservante; le arnie africane che ho sperimentato per alcuni anni”. Queste attività prendevano tempo e costavano, adesso cerco di abbassare i costi di produzione togliendo però molto di quello che mi fa divertire, inclusi i rapporti con la gente. La gente avrebbe voglia di bischerate, però poi non le compra. Insomma, sto diventando anch’io un hard discount!”

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Paolo Faccioli