EVOLUZIONE DELLA APICOLTURA BIOLOGICA
Forte della lunga esperienza di apicoltore, Marco Mantovani, nel suo libro “Apicoltura Biologica”, Editore Terra Nuova, propone un metodo molto innovativo di fare apicoltura basato sull’adozione di arnie di facile costruzione e di ancora più semplice gestione. Un’apicoltura «estensiva» che, a differenza di quella convenzionale intensiva, secondo l’autore, riduce al minimo lo stress a carico delle api, limitando allo stretto necessario gli interventi sulle arnie. È un’apicoltura a basso costo perché può essere praticata con arnie autocostruite realizzate con legname riciclato (come quello ricavato da pallet), ed ecologica perché nonricorre all’impiego di farmaci di sintesi nella cura delle malattie e rispetta le esigenze etologiche delle api. Si può essere o non essere d’accordo, e al di là di tutto si tratta di una visione che rappresenta uno strumento di riflessione.
“Questi ultimi anni caratterizzati dal cambiamento climatico e dall’inasprirsi della lotta chimica alle avversità dei raccolti stanno determinando, a mio avviso, dei grandi cambiamenti alle api e di conseguenza agli apicoltori. In definitiva, sembra che un certo modo di intendere e di condurre questo allevamento non sia più percorribile. La pressione fenotipica (data dall’ambiente) che stanno subendo le api è principalmente formata da due “rami” fondamentali. Da una parte il tentativo di arginare con la chimica, da parte di alcuni apicoltori (antibiotici, antiparassitari, nutrizione), la sempre più debole risposta agli attacchi “interni” all’organismo famiglia delle api; dall’altra il confronto con l’ambiente esterno (che è a tutti gli effetti un prolungamento della famiglia stessa: rifornimento di acqua, polline, propoli, nettare) sempre più caricato di sostanze mutagene e/o velenose, inibitrici di uno sviluppo sano.
Mentre il professionismo in apicoltura ha scelto di muoversi nelle promesse della tecnologia spinta e delle molecole acaricide, oltre che nelle ibridazioni di api di razze diverse come un nuovo apprendista stregone, altre soluzioni, specialmente nei paesi anglosassoni, stanno emergendo veicolate dalla capacità di diffusione del web. Volendo dare una data d’inizio a questa tendenza si può partire iniziando a contare dalla pubblicazione, da parte dell’organizzazione Bees for Development, sulla sua rivista, di articoli di David Heaf sulla reintroduzione dell’arnia Warrè, definita dall’autore come utile mezzo per la nascita di“a Bee-friendly Beekeeper”.
Un’apicoltura che cambiasse il punto di vista a partire dall’arnia, non più un artefatto adatto alla manipolazione da parte dell’uomo ma una vera abitazione molto più vicina alle esigenze dell’ape. Nell’anno 2010 veniva pubblicato il primo libro che introduceva e rafforzava questa visione.
Negli anni precedenti Heaf aveva tradotto e divulgato in lingua inglese il libro di Emile Warrè “L’Apiculture pour Tous” insieme a una serie di articoli esplicativi pubblicati sul suo sito. Deve essere riconosciuto il merito alla rivista “Beekeeping and Development”, un bimestrale a diffusione mondiale in lingua inglese dell’organizzazione sopra citata, di aver contribuito all’assistenza agli apicoltori nei paesi in via di sviluppo e aver proposto, a partire dall’anno 2000, in una nuova ottica del rapporto con le apicolture locali, le arnie alternative, costruite con i materiali esistenti in situ e in particolare la “Top Bar Hive”,un modello ideato nel 1976, a partire dal modello antico dell’arnia greca.
In Francia la Warrè non ha mai abbandonato il professionismo, specialmente con la sua versione a “telai”. Inoltre, caratteristica questa condivisa con gli apicoltori tedeschi, assieme alla Dadant canonica sono state mantenute e protette le apicolture tradizionali nelle arnie storiche.
Da noi, complice la crisi economica e la sempre maggiore attenzione al destino delle api, abbiamo assistito a un incremento vertiginoso di apicoltori. Molti di quelli che hanno presentato l’apicoltura a tutti questi neofiti hanno per certi versi omesso i “contro” di questa attività e hanno sottolineato esclusivamente, in maniera abbastanza interessata, i “pro”, anche il modo di “tenere” le api è stato presentato in maniera univoca: moderno e razionale o tradizionale e arcaico. La biologia nel lungo termine tende sempre a vincere sulla tecnologia. Chi si aspettava un rientro economico immediato è stato disatteso. Gli investimenti e la creazione dell’occupazione si sono risolti, in moltissimi casi, in un nulla di fatto. L’idea del libro è nata da queste premesse. Complice i corsi di apicoltura, che a vario titolo tengo dal 1984 e quindi in tempi non sospetti, ho ripercorso i miei inizi, pensando a che cosa sarebbe stato d’aiuto per “allevare” gli apicoltori e controbilanciare quello che chiamo (mediato dal linguaggio di mia moglie insegnante) “abbandono scolastico”.
Da queste considerazioni è scaturito un manuale semplificato di allevamento. Con arnie facilmente autocostruibili e a basso costo. Una metodica di preparazione alla conoscenza dello “animale” allevato che permettesse, una volta padroneggiata, di scegliere con calma gli ulteriori sviluppi professionali (e le tecniche e le attrezzature). Un libro a favore non un libro contro. Con un approccio darwiniano all’evoluzione dell’apicoltura, avendo come riferimento il fatto che, fino a pochi decenni fa, l’apicoltura era svolta semplicemente da persone appassionate depositarie di conoscenze soltanto empiriche, che attingevano alle risorse gratuite disponibili in natura. Un’apicoltura estensiva, basata sull’autoproduzione e non sul produttivismo che a noi è stata consegnata ma che, con le problematiche già viste ci risulterà difficile, adesso che è il nostro turno, passare con le stesse opportunità ai nostri figli. È comunque un’apicoltura autosufficiente e (secondo le scelte personali) riproducibile su piccola scala. Che tende, lentamente e senza imposizioni, a lasciare a ognuno la responsabilità di essere allevatore, di porsi in prima persona a risolvere i quesiti che vengono da questa richiesta di “allevamento naturale delle api”. I temi da sviluppare sono quelli proposti nell’articolo “Darwinian Beekeeping: An Evolutionary Approach to Apiculture” di Thomas D. Seeley, pubblicato su “Natural Bee Husbandry Journal” dove, con il supporto di studi scientifici, vengono via via analizzate le differenze fra colonie selvatiche e “domestiche” e la possibilità di avvicinarsi il più possibile al modello “naturale”.
La particolarità è che lo standard che ha vinto, la Dadant, non viene assolutamente demonizzato, anzi, considerando che sin dai miei inizi nel 1977 ho dovuto utilizzarla (erano le uniche misure riportate nei pochi libri consultabili), ho dato il via a esperimenti di “ibridazione” fra arnie che mi ha permesso di riciclare a fine vita materiale da una tipologia all’altra. Con ottimi risultati. Il metodo biologico per il trattamento delle avversità delle api è stata una scelta motivata dal fatto che, scherzosamente, affermo sempre che Varroa Jacobsoni Oudemans l’abbiamo fatto diventare Varroa Destructor, a forza di nutrirla di molecole chimiche. Come un Supereroe della Marvel.
Confido che, negli anni a venire, una bassa pressione dei principi attivi dell’apicoltura biologica sul rafforzamento del parassita, unito alla riproduzione di api resistenti (nel senso di api che “mordono” le varroe come le selezionano in Austria) e lo sfruttamento della sciamatura come momento sanificante, possano invertire la rotta.
Le tecniche di autocostruzione, valide per le arnie Warrè, Tob Bar Hive e Veuille, sono state descritte per permettere un passaggio all’apicoltura con bassissimi costi iniziali e le differenze gestionali riescono ad adattare il tempo/api alle esigenze dell’allevatore. Le misure alternative e le differenze costruttive permettono lo sviluppo dell’apicoltura anche da parte di soggetti con ridotte possibilità motorie e si inseriscono, includendo anche la fase costruttiva e preparatoria, nei programmi di agricoltura sociale.
“Un giardino un’arnia” è il motto che percorre il libro, chi realizzerà le arnie, chi le popolerà, chi le gestirà avrà il diritto di sentirsi parte di un processo attivo di rigenerazione dell’ambiente. Ubi apis ibi salus. Dove ci sono le api c’è la salute, dove c’è un apicoltore, il più delle volte, c’è un“allevatore custode” e rigenerare vuol dire letteralmente: far rinascere a nuova vita.”
Marco Mantovani