La gestione degli apiari
Nel 2007, con 350 alveari e 500 melari, Marco ha prodotto 120 quintali di miele, una media di 34 chili ad alveare.
Di base l’azienda è stanziale con brevi spostamenti all’inter-no delle postazioni già esistenti in un’areale intorno a un’ottantina di chilometri di raggio. E’ la Val di Cornia , che parte dalla Val di Cecina a Nord e raggiunge a sud l’areale pisano, (Monterotondo), e il grossetano (Massa Marittima). Qui è collina e pianura, spesso a ridosso del mare. I soli avamposti oltre i 100 chilometri, che Marco deve raggiungere, sono sul Monte Amiata per il castagno e in Lucchesia per l’acacia.
Nel corso degli anni ha sviluppato uno stile basato su postazioni di piccoli apiari di circa 25 alveari ciascuno. Per lui si tratta sia di un principio di prevenzione delle malattie, sia di produttività. Cita apiari in posizioni sperdute e senza alcun possibile vicinato apistico, che con 12 casse hanno fatto 10 quintali di miele e Marco crede che molto dipenda da come si accudiscono, così come dalle dimensioni e dalla moderata presenza di apiari nella zona. “L’etologia prevede che quando in una zona una specie è superiore al 4-5% sulla totalità delle specie comincia a dare fastidio agli altri. Se io porto alveari a più non posso perché penso che c’è posto per tutti, faccio una monocultura. Non ho la pretesa di fare questa affermazione su basi scientifiche, ma ho frequentato posti dove ci sono altri apicoltori e ho avuto sempre dei feedback negativi”. Se non altro non possiamo negare che questa affermazione possa essere vero per la sua zona, e altri professionisti della zona come Paolo Pescia sarebbero certamente disposti a sottoscriverla.
Gli apiari sono disposti in formazioni abbastanza omogenee che gli permettono di fare paragoni tra la produttività delle diverse zone.
Marco ha sempre lavorato alle api con l’aiuto del padre, che però ormai è anziano e dunque si trova in un momento di affanno. La figlia Melissa lo aiuta d’estate per la smelatura, e da qualche anno assume part-time un giovane aiutante, che però ogni anno cambia per la estrema selettività esercitata dall’apicoltura rispetto alla possibilità di affezionarsi al lavoro. Per riuscire a gestire questo numero di alveari quasi da solo, Marco ha impostato nel suo computer un programma di lavoro, che lo “tira per la manica” se almeno ogni 16 giorni non ha completato la visita dei nidi. Una scadenza che rispetta rigorosamente e che fa diventare, in quel momento, una priorità assoluta. Ovviamente c’è un’esperienza ormai trentennale gli permette di cogliere quei segnali anche minimi che le famiglie d’api possono dare e di fare perciò scelte di essenzialità e ottimizzare i tempi. Questo gli ha permesso nel 2007 di presentire una probabile scarsa sciamatura e di puntare su una strategia a basso numero di interventi.
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Paolo Faccioli