LETTERA ALLA RIVISTA LAPIS
San Vincenzo 31/10/2008
Caro Paolo,
Qui di seguito troverai i meccanismi mentali che mi hanno accompagnato nella scelta dell’elevatore elettrico PAPILLON, un ibrido italiano ZALLYS ( di Vicenza) e francese MATRANS CONCEPT ( Frontonas vicino a Lione).
Avendo preso coscienza del bisogno di agevolare il più possibile le operazioni di sollevamento nella mia azienda d’apicoltura ho iniziato, molto pragmaticamente, a pensare che cosa fosse meglio per me e per la mia realtà. Per fare questo ho gettato nel calderone delle idee tutte le mie passate ” competenze” in termini di logistica , di addetto alla manutenzione , di convinto ecologista (non talebano ….) e le esperienze rimaste nel dna del mio bisnonno Gaetano Benvenuti , anno 1870, che faceva il “barrocciaio “, con una cavalla e il barroccio trasportava , negli stessi luoghi dove faccio apicoltura, la calce, i mattoni , le pietre e le damigiane , gli otri e i pezzi delle prime macchine agricole a vapore , di fattoria in fattoria, utilizzando tutte le conoscenze degli antichi per risparmiare energia nella movimentazione. Se pensi di essere più bravo dei nostri vecchi togliti il petrolio e l’energia elettrica e prova a fare le stesse cose che ci hanno lasciato loro. Dunque, senza divagare, il che mi è impossibile, mi sono ritrovato a ragionare sui metodi e sui mezzi .
Avevo già utilizzato un “maialino” elettrico, di derivazione edile, montato su un pezzo di ponteggio innocenti a bandiera, che mi permetteva di arrivare dietro alle arnie (con un raggio di utilizzo di circa 2 mt) , che, con un apposito “castello” costruito a ridosso della cabina di guida del vecchio Ducato, mi permetteva di caricare da tutti e due i lati spostando la bandiera e il motore che ci scorreva sopra. La corrente per il funzionamento era fornita da un generatore a benzina Honda 500 W alloggiato su di una piastra sopra la cabina. Tutto questo funzionava. Ma utilizzando questo sistema mi feci persuaso (come dice Montalbano) che tutti i pesi dovevano arrivare nel raggio di utilizzo del camion. Questa era la vera limitazione a questo sistema , e l’esperienza fatta mi avrebbe portato alla esclusione dei sistemi di sollevamento a gruetta, tipo easy loader e similari, in considerazione della organizzazione e disposizione degli apiari (nella macchia mediterranea), dove quasi mai si presentava la disponibilità di manovra e di razionalizzazione delle file di alveari. Quindi la domanda si era semplificata : –
Per chiarire ulteriormente c’è da dire che possedevo già una carretta a cingoli motorizzata, chi ha avuto a che fare con questo mezzo si sarà reso conto dell’eccessiva instabilità che questa presenta nei tracciati accidentati dei nostri apiari. Quindi, finalmente, complice la pubblicità dell’azienda riportata sulla rivista francese “L’Abeille de France” alla quale sono abbonato da circa quindici anni, ho scoperto l’esistenza di questo piccolo elevatore , elettrico,equipaggiato con un paio di forche per il sollevamento e oltretutto con il movimento di inclinazione. Se le api raccolgono tonnellate di miele a viaggi di 10 milligrammi ogni volta, mi sono detto, può darsi che questo piccolo muletto, con una capacità di sollevamento dichiarata di 90 Kg, mi possa aiutare a realizzare i carichi con la stessa filosofia delle api (penso che l’azienda Piaggio di Pontedera ci fosse arrivata prima di me….).
La perplessità rimaneva per il motore elettrico. Quanta autonomia? Quanta capacità di movimentazione?
Ad ogni modo il periodo del brain storming era finito, da qui in avanti si trattava di pianificare e realizzare. E’ iniziato uno scambio di e-
Il mezzo è l’elaborazione francese di una carretta elettrica italiana ; Zallys mod. Brio che viene utilizzata soprattutto in lavori di piccola edilizia, giardinaggio e trasporti , con la durata di utilizzo fino ad una giornata. La trasformazione in piccolo muletto ha trovato la logistica della mia piccola azienda già predisposta, con i pallets a giusta misura .La prova in campo è stata effettuata dopo una modifica alle forche effettuata in tutta fretta dal mio amico fabbro Sandro Ioime. Si è trattato soprattutto di adeguare la lunghezza delle forche al fatto che le arnie italiane hanno il portichetto e quelle francesi no . Ho iniziato i lavori caricando direttamente il muletto sul pianale del Mahindra , utilizzando due piani dei ponteggi innocenti per farlo salire, per non farlo slittare ho usato due pannelli gialli usati per le gettate di calcestruzzo in edilizia per diminuire la tendenza delle ruote allo slittamento.In questa prima fase l’ho utilizzato per aggiungere melari in basso, alzando semplicemente quelli già in sede, sia utilizzando le forche lisce (sui melari con maniglie), sia le forche a pressione (che entrano dentro le maniglie incavate), per caricare arnie morte, per movimentare pile di melari vuoti. Il muletto si è mosso su tutti i terreni, e le poche volte che questo non è stato possibile (presenza di fosse scavate dall’acqua ecc.), il lavoro è stato effettuato lo stesso utilizzando i pannelli di legno come basi per l’avanzamento.
La sua grande utilità e risparmio di energia si è però concretizzata durante la raccolta dei melari a fine stagione. Si soffiavano i melari e si impilavano sul pallet con un apiscampo alla sommità, da tre a cinque secondo il contenuto effettivo di miele, dopodichè si trasportavano e caricavano sul pianale del camion. Il melario veniva sollevato dall’arnia al tettino per la soffiatura, poi adagiato vicino sul pancalino, dopo questa semplice operazione il resto della movimentazione fino al laboratorio di smielatura è stata a carico del muletto.
La legatura con tiranti a cricchetto (come fanno gli americani) è stato un accorgimento ulteriore per non legare niente ed avere più sicurezza negli spostamenti e nei carichi.
Un carrellino appendice dove riporre il muletto per il trasporto è stata la soluzione per sfruttare appieno il pianale e la capacità di carico del mezzo.
500 melari sono stati soffiati e trasportati con 1 settimana effettiva di lavoro di due persone, considerando la frammentazione degli apiari e l’età media degli addetti (per noi) è stato un grande risultato.
Il muletto continua ad aiutarmi in laboratorio, silenziosamente, come mi aiuta in campagna senza fare schiamazzi e fumi nauseabondi, fermandosi anche a mezz’aria permettendomi di finire i lavori con calma. Rischiando le battute sarcastiche penso che installerò un pannello fotovoltaico per ricaricare “la belva”, chiudendo il cerchio della mia bella fabbrica naturale e sentendomi ancora più in sintonia con “l’anima mundi” e con tutti gli alchimisti che ci hanno preceduti.