Parole e Apicoltura

 

Sono sempre stato attento alle parole. Girovagando l’Italia da adolescente, mio padre lavorava per una ditta di montaggi elettrici (costruzione di centrali di produzione dell’energia principalmente),  ne ho accumulate con curiosità e spirito da collezionista molte. Anche nel nostro settore ogni nuovo arrivo era ed è ancora oggi motivo di riflessione.

Le parole nell’apicoltura sono cambiate. Come in tutte le attività umane sottoposte allo stress del tempo, unico metro di paragone e propagazione. Certo è che le parole che cambiano o addirittura spariscono fanno da cartina al tornasole di questa nostra attività e ne figurano i cambiamenti. Quando Elio Bailo nell’anno 1980 scriveva “Apicoltura pratica mediterranea” edito da Ottaviano, faceva piazza pulita di tutti i testi “antichi” sui quali ci eravamo preparati noi  aspiranti apicoltori alle prime armi. La quasi totale mancanza di libri specialistici era, ripensandoci adesso, una lacuna incredibile. Bailo , milanese, da dirigente d’azienda e consulente di direzione, marketing e organizzazione colse il momento giusto, abbinandolo al ritorno alla campagna (in questo caso maremma toscana) e alla vita in comune con un gruppo di amici.

Noi ci trovammo davanti modelli strani di arnie: Voirnot, Layens, Langstroth, Dadant divisibile, che, oltre essere abbastanza simili ci raccontavano però una possibilità diversa dall’ Italica Carlini a 12 telai che avevamo costruito copiando le misure sul libro “Apicoltura” di Zappi Recordati della UTET che datava 1947. Ricordo che lo “rubai” alla biblioteca comunale dandolo per disperso (mi serviva continuamente) e lo rimpiazzai con l’edizione moderna della REDA (Ramo Editoriale degli Agricoltori) versione peraltro non completa, prendendomi oltre tutto una nota di merito per aver ricomprato un libro nuovo in sostituzione di uno liso e squinternato. Da Recordati a Bailo si perdevano le parole bugno villico, arnie rustiche, arnie semirazionali, messa a sciame, tambusso, vendemmia apistica, apicidio.

Per caso, su una bancarella a Tarquinia, trovai “L’Apiculture” di Pierre Jean-Prost edito da J.B.Baillière, del 1979 che ebbe il grandissimo merito di rendere sistematica l’apicoltura e di insegnarmi come mantenere la capacità di istruirsi attraverso parole ( che si acquisivano) come: osservare, sperimentare, disegnare, schematizzare, fatti, cifre, studi grafici dei pesi, delle produzioni. Un libro scolastico che avrebbe una validità anche ai nostri giorni per la capacità di passare un metodo. La volontà di apprendere mi rese sempre meno ostico il francese.

Il bel libro del Contessi “Le Api”edito da Edagricole, anno 1983, esaustivo e valido mi rimase impresso per la presentazione di Giorgio Celli (maestro di Alberto Contessi) dove si diceva che si trattava di una fatica che riuniva i due modi , spesso separati , di considerare l’ape: il modo biologico ed etologico, scientifico, con quello zootecnico. Soprattutto, in neretto, appariva la domanda : L’ape è un animale domestico? E in quell’anno Celli manifestava la paura che si fosse all’inizio di una domesticazione con argomenti validissimi e profetici che si ritrovano oggi in molti scritti. Avrei incontrato Giorgio Celli come docente al corso per Esperti Apistici del 1985 a Bologna serbandone un bellissimo ricordo.

A partire dagli anni ’80 la funzione di formazione e di scambio di esperienze venne veicolata dalle riviste specialistiche, che in realtà a volte apparivano e scomparivano abbastanza facilmente: “L’Apicoltore Moderno”, “La Città delle Api”, “L’Ape nostra amica”, “Apitalia”, “Le nostre Api” ecc., ma che avevano l’indubbia capacità di iniziare a fare “rete”, mettendo in collegamento le associazioni, i soci, le istituzioni, gli apicoltori, in un crescendo di voglia di conoscere e confrontarsi, certo, c’era il telefono con il disco combinatore e i più fortunati avevano il fax. Acquistavo i libri d’apicoltura ormai abbastanza compulsivamente, lo confesso. La rivista “Apitalia” era quella che aveva i titoli più accattivanti.. ”L’arnia grattacielo” di Padre Dugat, “Lotta biomeccanica alla varroa” di Michele Campero con “Altri metodi di lotta biologica”; in appendice di Marco Valentini. Lotta biomeccanica, lotta biologica, parole nuove e quindi possibilità di cammini alternativi.

Avevamo già iniziato, vettore una notizia sull’ “Apicoltore Moderno” rivista dell’Osservatorio di Apicoltura dell’Università di Torino, a parlare di varroasi e nel numero 5 vol.72 settembre-ottobre 1981 in un articolo scritto da Renzo Barbattini vidi le prime immagini a colori della Varroa iacobsoni rinvenuta nel mese di giugno in un apiario del Comune di Staranzano vicino Gorizia a pochi chilometri da Monfalcone (cfr. L’informatore agrario 37, 16769-16770, 1981). La parola varroa avrebbe occupato i nostri discorsi da allora ad oggi con molta frequenza. Soltanto in questi mesi siamo venuti a conoscenza che le api con linee genetiche sopravvissute alla pressione dell’acaro per 17 e più anni, attraverso una semplice disopercolatura e seguente riopercolatura delle cellette, riescono a compromettere la riproduzione dell’acaro (ricerca di Melissa Oddie e colleghi maggio 2018, articolo di Luca Tufano sul numero di giugno della rivista Apinsieme). Sono occorsi 37 anni per leggere una notizia così incoraggiante.

Iniziavano gli anni ’90 e sempre della FAI “Le Api per l’impollinazione” di Danilo Frediani mi suggerì lo sviluppo aziendale per gli anni seguenti, dove ancora c’era spazio per le collaborazioni fra apicoltori e agricoltori, spazio di produzioni e di redditi. Le arnie venivano affittate per incrementare i risultati anche del 40%. Quando di notte spostavamo le arnie ricolme, per l’impollinazione dei meloni in serra, su di un Fiat “Fiorino” rischiando ad ogni curva di mescolare uomini e api ne’ io ne’ il mio collega agricoltore ci saremmo mai immaginati la deriva che avrebbe preso in futuro il nostro rapporto (complici i pesticidi e i diserbanti).

Il decennio ’90-2000 avrebbe rappresentato il culmine della produttività e della redditività per la mia e molte altre aziende, in seguito, ripensare a quei tempi, paragonati a quelli odierni, ci avrebbe fatto “soffrire” molto.

Fino all’anno 2000, i terreni europei hanno beneficiato della misura set-aside, ecco di seguito la definizione (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera):  “Il set-aside (in inglese, letteralmente, mettere da parte) è stato un regime agronomico adottato nell’ambito della politica agricola comune. Introdotto dall’Unione Europea nel 1988 (Regolamento CEE 1272/88), consisteva nel ritiro dalla produzione di una determinata quota della superficie agraria utilizzata: questa doveva essere lasciata a riposo per periodi più o meno lunghi (anche fino a 20 anni). La pratica agronomica era ispirata dalla necessità di controllare la sovrapproduzione di cereali, e di altri seminativi, al fine di evitare gli effetti depressivi sui prezzi agricoli.

La scelta di destinare porzioni di terreno al set-aside era incentivata dalla politica agricola comune(PAC), che prevedeva la corresponsione, al proprietario del fondo, di un contributo economico.

Nata, in principio, quale politica di intervento sui prezzi di mercato dei seminativi, la pratica del set-aside è risultata di interesse anche per alcuni positivi effetti che, a certe condizioni, è in grado di irradiare sulla qualità ecologica e la biodiversità dei paesaggi agrari.”

In un territorio frazionato ancora da grandi latifondi in mano a famiglie nobili ( Della Gherardesca in primis), la “Maremma di qua” l’alta Maremma , si copriva di ettari di fioriture spontanee spingendo i nostri raccolti fino a risultati epici (l’età dell’oro?). Andavamo a giro con il libro “Flora Apistica Italiana” di Ricciardelli d’Albore e Persano Oddo sul camion, per tentare di riconoscere qualche pianta sconosciuta aiutati dalle foto. Si parlava di melissopalinologia, potenziale mellifero e caratterizzazione del miele. Il libro era del 1978 ma solo adesso lo usavamo come un portolano per i marinai.

Con la venuta del nuovo millennio altre sigle e parole si sarebbero affacciate all’uso comune, TBH , apicoltura naturale, permapicoltura…ne parleremo ancora, altalenando avanti e indietro nel tempo, con le esperienze e con gli occhi di riviste d’apicoltura straniere come ABJ, L’Abeille de France e Bees for Development.

   –  Parole e Apicoltura di Marco Mantovani


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